The Glory – Kdrama popolare su Netflix

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Anteo

Fondatore di "Il mio viaggio a Seoul"

INDICE

Su Netflix dal 30 dicembre è una forte denuncia delle prevaricazioni dei potenti e una storia dolorosa delle conseguenze tragiche di un danno irreparabile.

Kdrama fomentato sulla vendetta, “The Glory”, disponibile ora su Netflix, è molto di più che una semplice storia di vendetta. È la storia di un’ossessione e del come un torto subito possa influire sul percorso della vita di una persona, dandogli un significato e persino influendo sull’equilibrio tra il Bene e il Male nel mondo. Moon Dong-eun è una studentessa del liceo in difficoltà economiche, con una madre che non si prende cura di lei e che vive in una stanza spoglia in uno stato di quasi povertà. A scuola viene presa di mira dal gruppo di bulli capitanato dalla sadica Park Yeon-jin, mentre l’insegnante che dovrebbe proteggerla copre le angherie e la punisce per aver cercato aiuto. Quando l’infermiera della scuola che vuole denunciare il bullismo viene licenziata, Dong-eun capisce che l’unico modo per salvarsi è lasciare la scuola. Da quel momento, il suo obiettivo diventa vendicarsi dei suoi aguzzini e, nei successivi 18 anni, concentra ogni sua azione e decisione nella messa a punto di un piano che le permetterà di vendicarsi sui cinque bulli della sua adolescenza.


“The Glory”, l’ultimo lavoro della famosa autrice coreana di k-drama Kim Eun-sook, nota come la “Shonda Rhimes” coreana. Kim è una delle autrici di k-drama più quotate attualmente in circolazione, con opere di successo come “Goblin”, “Mr Sunshine”, “The King – Eternal Monarch”, “Descendants of the Sun”, “Secret Garden”, “The City Hall”, “The Heirs” e “Gentleman’s Dignity”, tutte serie televisive che hanno segnato la storia della televisione locale negli ultimi 15 anni. Solo con “City Hall”, Kim aveva mostrato il suo lato più critico nei confronti della società, in una serie matura senza il tipico melodramma dei soap o i colpi di scena assurdi dei makjang. Con “The Glory”, Netflix le ha concesso la più ampia libertà creativa e il risultato è la sua opera più politica e dura finora, tanto brutale da non sembrare neanche una sua creazione. Le sofferenze che Dong-eun subisce non sono solo insulti e pestaggi (che già costituiscono un abuso inaccettabile all’interno del sistema scolastico e fuori), ma anche torture quotidiane da parte della coetanea Park Yeon-Jin, che usa un arricciacapelli arroventato per sfigurarla, e dalle sue amiche Lee Sa-ra e Choi Hye-jung e dai compagni Jeon Jae-joon e Son Myung-o.


Dong-eun supera un limite di tolleranza inviolabile – che comporterebbe la perdita dell’umanità – e quasi vent’anni dopo è invincibile: nessuno la spaventa, la ferisce o la commuove. Il danno subito ha mutato il suo DNA in quello di un angelo vendicatore. Per il popolo coreano, la cui storia è costellata di invasioni e tentativi di colonizzazione da parte di Cina, Giappone, Francia e America, la sopportazione è incisa nella cultura e la vendetta è un sogno peccaminoso, più che una realtà, la materia fantastica di film e serie televisive. Il piccolo schermo coreano è pieno di personaggi umiliati dai ricchi e potenti che subiscono senza ribellarsi. Dong-eun appartiene a un’altra categoria, quella di cui fanno parte anche Yoon Ji-woo in “My Name” in TV e i personaggi della trilogia della vendetta di Park Chan-wook al cinema. L’autrice Kim Eun-sook sceglie di narrare questa vendetta con un’eleganza sconvolgente, come se lo scontro tra Dong-eun e la sua nemesi fosse un duello a colpi di fioretto.
Dong-eun è così ossessionata dalla sua aguzzina che la presenza costante del suo volto nei suoi pensieri è diventata quasi confortante: “The Glory” è una storia d’odio in cui l’odio è un sentimento così potente da sembrare amore. È anche uno show che ambisce al fascino formale, con una fotografia in chiaroscuro sofisticata, riprese ampie e ricercate, scenografie e costumi ricchi di dettagli e spesso di valore metaforico come le décolleté verdi. Per interpretare Dong-eun, protagonista imperscrutabile e spinosa che non fa nulla per farsi amare o compatire, l’autrice Kim Eun-sook ha scelto una vecchia conoscenza di “Descendants of the Sun”, Song Hye-Kyo, attrice di bellezza glaciale (amata anche da John Woo per il quale ha recitato in “The Grandmaster”). A volte accusata di offrire performance fredde e legnose, qui Song è meravigliosa: un automa bellissimo, una terminatrix inarrestabile, una donna sensibile e misericordiosa che ha seppellito la propria umanità e negato se stessa e la propria femminilità in nome di un ideale.
Il suo timore di affezionarsi a qualcuno che le restituisca sentimenti ed emozioni è la prova stessa che Dong-eun può ancora salvare se stessa da un destino di distruzione e autodistruzione. Dong-eun non è alla ricerca di redenzione, crede fermamente che se nessuno fermerà i villain, questi continueranno a fare agli altri ciò che è stato fatto a lei, rendendo il suo personaggio estremamente suggestivo nella sua irremovibile purezza d’intenti. La Kim si presenta come una voce silenziosa che lascia allo spettatore giudicare Dong-eun, schierarsi con lei o biasimarne la mancanza di indulgenza, ma in realtà prende sommessamente una posizione gloriosamente immorale tramite alcuni espedienti che manipolano lo spettatore. Come accennato in precedenza, l’autrice ha scelto un’attrice bellissima, altera ed elegante, che nonostante i dieci anni in più degli interpreti dei bulli sembra una dea.
Non riveleremo in quale direzione la serie, divisa in due tranche (la seconda parte è prevista per marzo), si muoverà, se Dong-eun verrà punita per la sua sete di vendetta, se riuscirà a compierla o se cederà alla tentazione di concedersi la felicità di una vita normale, ma l’episodio numero sei brutale e durissimo incentrato sulle riprese ravvicinate del corpo nudo martoriato di Dong-eun termina con un nuovo alleato che la implora “Dimmi chi vuoi che uccida per te”. Può l’odio unire più dell’amore?
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